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Coronavirus: con l’emergenza, non è un problema la forma delle restrizioni, se c’è consenso


Desidero esprimere un parere sul dibattito che si sta svolgendo in questi giorni sulle forme con cui il governo sta intervenendo per contenere il contagio del coronavirus.
Avantieri, in un’intervista su l’Adige, il prof. Toniatti ha espresso in proposito preoccupazione. In particolare, alla domanda sulla costituzionalità delle disposizioni del governo, egli ha affermato «che il problema è enorme e si fa bene a sollevarlo».
Invero, pongono dubbi più o meno intensi sulla «lesione dei diritti individuali», chiamando a volte in causa la Corte costituzionale, più persone: tra queste, l’esperto costituzionalista Ciarlo sul cartaceo de L’Unione Sarda del 15/03/2020 (p. 12) e il coautore delle ultime edizioni d’uno dei più autorevoli manuali di diritto penale, Gatta, su www.sistemapenale.it. Ovviamente, quasi tutti sono consapevoli dello stato di crisi sanitaria e, dunque, dell’idoneità del merito dei provvedimenti provinciali (o regionali) e nazionali fin qui presi.
Io – novizio del diritto, che studio qui a Trento – certo non ho la maturità scientifica di Toniatti e dei colleghi che hanno sollevato le sue stesse perplessità. Tuttavia, ritengo opportuno stimolare una riflessione pubblica sulle loro valutazioni.Primariamente, la tradizione costituzionale italiana non concepisce i diritti o alcuni di questi come princìpi preminenti in assoluto. Anzi, tutti i diritti interagiscono reciprocamente e, di più, il concetto di limite è insito in quello di diritto soggettivo. La legge – e questo lo stabilisce anche la Costituzione – è chiamata proprio a limitare (non annichilire e né sospendere) la libertà delle persone, per giustificate ragioni. Sappiamo tutti che oggi corriamo rischi di salute pubblica. Dunque, la circolazione è soltanto bilanciata in concreto con la tutela del diritto alla salute (e alla vita): tutto qui.
In secondo, mi sembra che il ragionamento del prof. Toniatti poggi su premesse prevalentemente formali. Eppure, il diritto nella sua essenza è esperienza organizzativa del sociale, mentre un rigido formalismo potrebbe slegarlo dalla società e dalla carnalità dei fatti. Anche in una situazione d’emergenza, di pandemia e parimenti nel formale silenzio d’un testo, il diritto risiede sempre nel comune consenso, che dà concretezza alle regole astratte scritte, in Italia, dal parlamento. È così che si riconosce validità alle misure come quelle di questi giorni. Poco importa, pertanto, la «lacuna costituzionale» ipotizzata.
Virologi, epidemiologi, la stessa opinione pubblica, nonché i rappresentanti politici a tutti i livelli e in modo bipartisan: sono condivise le restrizioni che affrontiamo oggi e affronteremo per altre settimane ancora. Anzi, molte sono state richieste proprio “dal basso” o suggerite dai tecnici e non piovute dall’iperuranio del potere. Constatiamo un’ampia collaborazione, che testimonia una condizione più che democratica. A patto che tutti osservino gli impegni presi – nonché i limiti, riferendoci a chi esercita il potere –.
Credo che questo consenso e l’acquisita consapevolezza della gravità della situazione non consentano di decontestualizzare le misure del governo, al punto che un domani un aspirante dittatore possa strumentalizzarle per un colpo di Stato (come qualcun altro, non Toniatti, teme).
Per concludere, rinvio all’intervista di Zagrebelsky del 22 marzo a la Repubblica e a quella di Azzariti dell’11 marzo al il Fatto Quotidiano, così da proseguire con due voci autorevoli un dialogo costruttivo col prof. Toniatti, il consesso accademico, i miei colleghi studenti e la stessa opinione pubblica.

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